LA MEMORIA ECCLESIALE

La chiesa di Bologna e la strage di Monte Sole

La strage del 29 settembre 1944 coinvolse le comunità che abitavano sulla collina tra il Setta e il Reno: vide la morte di tanti anziani e bambini che avevano cercato rifugio nelle chiese in cui erano soliti pregare, e con loro la morte di cinque sacerdoti che scelsero da pastori di non lasciare il gregge nel momento del pericolo.

Cinquant’anni dopo il Card. Giacomo Biffi, guidando il pellegrinaggio tra le macerie della chiesa di Casaglia affermò che Chiesa di Bologna possedeva su questi monti un tesoro da custodire con amore. Un tesoro di cui però per tanto tempo i cristiani non erano stati consapevoli, perché per più di trent’anni su quei fatti nella diocesi era calato il silenzio. Parlando del diacono Mauro Fornasari, ucciso da una squadraccia fascista la mattina del 5 ottobre 1944 a Zola Predosa, il vescovo Luigi Bettazzi descriveva così gli anni in cui ci si era dimenticati come chiesa di quegli eventi:

“Avevamo sentito parlare della sua morte, ma per troppo tempo non avevamo indagato per saperne di più, così come per troppo tempo avevamo ignorato troppi particolari di tante vicende anche tragiche che avevano insanguinato le nostre terre. Penso, ad esempio, come per decenni non s’era parlato della strage di Marzabotto: la nostra Chiesa bolognese (quella del Card. Lercaro e – aggiungo – di me, suo Ausiliare) aveva dimenticato le ottocento vittime innocenti e i cinque sacerdoti assassinati, per non associarsi alle sinistre socialcomuniste che ne avevano fatto la loro bandiera” (Luigi Bettazzi, “Prefazione”, in A. Mandreoli, Chi cercate? Vita e morte di Mauro Fornasari, diacono della Chiesa di Bologna, EDB, Bologna 2013, p.15).

La questione della memoria della seconda guerra mondiale in genere, ed in particolare di questa strage è estremante complessa. Riteniamo che il cercare di comprendere come mai tra i cattolici sorse un anticomunismo di maniera per cui non se ne parlava per non fare il gioco dei comunisti, aiuti a comprendere un aspetto della memoria divisa, che impedì non solo al clero, ma anche ai cattolici impegnati, di intuire ricchezze che rimasero purtroppo abbandonate. In fondo in questo non si differenziarono molto dai cittadini bolognesi che nei mesi successivi la strage trattarono i superstiti di Monte Sole da sfollati di serie b per la provenienza da “zone politicamente infette”. Cf. Relazione di Antonietta Benni al Card. Nasalli Rocca, Autunno 1945 e “Relazione commemorativa tenuta in Marzabotto il 30 settembre 1945 da Silvano Bonetti”, in N.S., Onofri, Marzabotto non dimentica Walter Reder, Bologna 1986, pp. 98-99.

IL SILENZIO SU MONTE SOLE

Al primo anniversario della strage ci fu un clima di unione nel ricordare i fatti terribili dell’anno prima, ma fin dall’anno successivo iniziò a manifestarsi una strumentalizzazione della memoria. Di fronte a commemorazioni ufficiali improntate ad una celebrazione eroica dei combattenti della brigata partigiana e ad una forte idealizzazione del rapporto tra popolazione di Monte Sole e lotta resistenziale, la chiesa di Bologna si tenne sempre in disparte. Solo le piccole comunità rimaste continuarono ad andare negli anniversari a pregare per i morti.

Il 29 settembre 1949 presidente della Repubblica Luigi Einaudi consegnò la medaglia d’oro al valore militare al comune di Marzabotto. Era presente il Card. Nasalli Rocca, ma non intervenne. Significative del clima di quegli anni il discorso di quel giorno dell’onorevole Terracini che così descriveva il monumento che avrebbe dovuto sorgere in paese con sotto il sacello delle vittime e sopra la chiesa parrocchiale:

“Né la chiesa tremerà per quei suoi fondamenti, né quei morti avranno men sereno riposo per quella cuspide crociata. Ché, anzi, traendo al tempio, gli abitanti di Marzabotto chineranno reverenti il capo al grande appello delle due fedi, diverse ma congiunte, e cementate insieme dalla prova suprema della morte: la fede in un ordine nuovo che dia in terra agli uomini giustizia e pace, e l’altra in un rifugio celeste dove ogni ira si placa e ogni torto ha riparo. Così, nella reciproca comprensione, vivrà Marzabotto nuova”. (Umberto Terracini, “Il martirio di Marzabotto”, in Oratoria, Novembre-Dicembre 1949, p. 366).

Anche il Card. Lercaro non colse le potenzialità di rinnovamento che potevano nascere dalla memoria dei fatti di Monte Sole. Era arrivato in città con l’obiettivo di “rifare cristiana Bologna” e l’immagine del suo primo decennio di ministero episcopale era quella di quei soldati dell’esercito di Esdra che con una mano combattevano, con l’altra costruivano le mura della nuova Gerusalemme. Quando nel 1956 fu invitato a presiedere in ricordo di don Pessina l’inaugurazione di sacello avrebbe dovuto unire la memoria dei preti morti durante e dopo la guerra, convocò a partecipare solo le parrocchie bolognesi che avevano visto martirizzare i propri parroci nel dopoguerra..

L’ inaugurazione della cripta ossario di Marzabotto nel 1961 dilatò nel mondo la risonanza dell’eccidio di Marzabotto che divenne sempre più simbolo di città martire gemellata con le città martiri del mondo, ma in un certo senso finì per omologare il silenzio su Monte Sole.

LA RISALITA A MONTE SOLE

Il momento di svolta che condusse a una riscoperta ecclesiale della strage fu un incontro per il clero diocesano nel maggio 1975. Uno dei relatori, il vescovo di Imola mons. Luigi Dardani, invitò i presenti a raccogliere testimonianze e documenti relativi alle figure dei preti morti durante la guerra rimanendo fedeli al loro ministero. A suo avviso occorreva superare l’identificazione tra la Resistenza con il movimento di alcune formazioni partigiane o con alcuni episodi atroci di cui furono protagonisti. “Essa infatti fu innanzitutto un atteggiamento morale, una rivolta interiore contro ogni prevaricazione, ogni violenza eretta a sistema, ogni sopruso, ogni ingiustizia, ogni ricatto”.

L’invito fu fatto proprio da don Luciano Gherardi che fondò un centro di documentazione dal titolo “Comunità di Fede e Resistenza”: fin da subito si attivò per raccogliere documentazione e far conoscere le figure di alcuni sacerdoti bolognesi morti in guerra o esemplari per la loro dedizione nel contesto delle difficoltà belliche.

Negli stessi giorni ci fu in san Domenico un convegno dal titolo “I Cattolici e la Resistenza, ieri e oggi” con una partecipazione così così ampia da parte delle diverse espressioni dell’associazionismo bolognese da essere definita da Achille Ardigò, nel suo discorso conclusivo, “un evento nella storia del cattolicesimo bolognese”. (In M. Marabini, I cattolici e la resistenza ieri e oggi, in “AGENDA”, Anno XVII luglio-agosto, 1975, p. 15.)

La lettera di invito auspicava ad una memoria che conducesse a mettere anche in discussione le scelte politiche del tempo: “Per i cattolici il patrimonio culturale e politico della Resistenza deve esserle un fatto vivo e vitale, una responsabilità di fronte a se stessi e alla società, rispetto alla quale non é possibile un silenzio imbarazzato”. Cf. La segreteria del comitato a NN, Bologna, 28 aprile 1975, allegato in AG (Cart. XII).

Questo comitato finì presto il suo lavoro per tensioni politiche al suo interno, mentre procedette la ricerca don Gherardi che scelse come sua linea non tanto il soffermarsi sui giorni della battaglia, quanto il riscoprire la ricchezza di vita delle comunità e dei sacerdoti coinvolti nella strage. Nel contempo ci fu una riscoperta dei luoghi della strage sulla collina di Monte Sole con la pulizia degli stessi e la posa di monumenti commemorativi opera di don Ilario Macchiavelli e Luciano Nenzioni.

Il 29 settembre 1980 si arrivò finalmente celebrare la Messa nella chiesa di Casaglia e fu per mons. Gherardi una gioia incontenibile:

“Ci diciamo, al termine del rito, che qui sono le radici della Chiesa. Il santuario nuovo. Non l’immagine venerata, o il luogo dell’apparizione; ma l’equivalente odierno di quella che fu la santa Gerusalemme di S. Stefano, eretta dai nostri padri sulle zolle asperse del sangue dei primi martiri Vitale e Agricola. Allora si trattava della prima «piantagione» della Chiesa bolognese, che germogliava dal sacrificio degli «araldi della fede»; ora è una «nuova piantagione» che rigermoglia sui semi del martirio dopo epoche oscure di crudeltà e di rifiuto… Allora la fraternità nel sacrificio fra il servo (Vitale) e il padrone (Agricola) esprimeva l’uguaglianza di tutti gli uomini in Cristo; ora la comunanza nel martirio fra il popolo e il pastore dice tutta la forza e la ricchezza dell’essere un cuor solo e un’anima sola nella Chiesa del Signore”. (L. Gherardi, Il 28 settembre 1980 a Santa Maria di Casaglia, in “Bologna Missione”, 6 febbraio 1981.)

Furono queste intuizioni a condurre prima il Vicariato di Setta a fare nel 1981 il luogo di riferimento del Congresso Eucaristico. Simbolo del Congresso fu la Pisside da poco ritrovata, sporca e schiacciata, tra le macerie di Casaglia. La sua immagine entrò nelle case come simbolo del sacrificio del pastore e della comunità, simbolo di amore, pace e riconciliazione. Due anni dopo, nel 1983, il vescovo Manfredini guidò il primo pellegrinaggio diocesano nel 1983 come tappa obbligata dell’itinerario di conversione e riconciliazione ecclesiale e civile. Il monte dimenticato dalla memoria strumentalizzata della strage di Marzabotto, veniva ora proposto come “santuario del nostro tempo”.

Oltre a riscoprire i luoghi si comprese che era necessario studiare per comprendere il messaggio che ne veniva e fu costituita tra il 1984 e il 1985 una commissione storica-teologica che doveva raccogliere notizie e comprendere se si poteva parlare di martirio.

Appena arrivato in diocesi il card. Biffi guidò fin dal 1984 il pellegrinaggio e diede il mandato ai fratelli e alle sorelle della Piccola Famiglia dell’Annunziata di don Dossetti di restare a Monte Sole in nome e rappresentanza della chiesa diocesana. Nel 1985 la comunità iniziò a Monte Sole perché vi tornasse ad “ardere la lampada eucaristica”. Da quell’anno sono stai fatti tanti pellegrinaggi e anche per la nascita del parco in un numero sempre più crescente gente da ogni parte del mondo è salita in quei luoghi su cui la diocesi era tornata un po’ da pioniera. Tra il 1995 e il 2011 si sono tenuti i processi diocesani per i sacerdoti morti nella strage, nella convinzione che riscoprirne la coraggiosa donazione fosse il desiderio delle comunità per cui spesero la vita.

Ora sta a noi non permettere che ritorni il silenzio, perché dimenticare è minare nelle fondamenta la vita della comunità cristiana che vive della memoria di quanto Dio ha operato nella storia della salvezza e in modo particolare della memoria della passione e morte di Cristo vissuta in ogni celebrazione eucaristica. Non una memoria che rivendica i propri meriti e i propri eroi al fine di una propria autoaffermazione, ma un ricordo che ci inquieta e ci converte ad una sensibilità fattiva verso le vittime di oggi.

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