GLI ECCIDI DI MONTE SOLE

GLI ECCIDI DI MONTE SOLE

Nei giorni fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 si consuma quella che, per dimensioni, è riconosciuta come la maggiore delle stragi naziste in Italia: a lungo identificata col nome di «strage di Marzabotto», principale Comune dell’area coinvolta, essa viene ora più correttamente denominata «strage di Monte Sole». È infatti l’acrocoro di Monte Sole, fra le valli del Setta e del Reno, il territorio sul quale insiste la mirata azione tedesca – coadiuvata da italiani – nell’arco di tempo indicato, benché uno stillicidio di violenze, uccisioni, razzie, si registri prima e dopo quei giorni in aree limitrofe, anche del fondo valle. Questo continuum di eccidi, per non dire dei morti causati dai bombardamenti alleati e dallo scoppio di mine, ha contribuito a rendere assai difficoltosa la definizione del numero dei caduti per mano tedesca e fascista, ovvero in generale per la guerra, anche a causa del marasma delle anagrafi comunali e dell’alto numero degli sfollati da altre località: il che ha dato vita a un contenzioso sul conteggio delle vittime della strage che, per durata e durezza, merita essere segnalata come uno dei casi della «memoria divisa» del nostro paese.

Sulla cifra dei 770 uccisi durante l’azione propriamente detta converge ormai da anni la storiografia: dato sensibilmente inferiore ai 1.830 indicati nelle prime stime del dopoguerra, a partire dalla consegna della medaglia d’oro al comune di Marzabotto il 25 settembre 1949: una sanzione ufficiale che, malgrado intermittenti polemiche, ha reso difficile il recesso. Quando infine si è completato il ricalcolo delle vittime con una tardiva ma accurata ricerca, si è potuto constatare che esso sostanzialmente coincideva con quello dichiarato nel rapporto tedesco del 2 ottobre 1944, che parlava di «718 morti nemici» di cui 497 «banditi» e 221 «fiancheggiatori». Considerato che il rapporto si riferisce ai giorni precedenti a quello della compilazione e che, dal 2 al 5 ottobre, un’altra sessantina di persone vengono uccise, il dato finale collima in pieno. Ma se la fonte germanica appare attendibile per il totale dei caduti (e di circa 800 morti, a riprova di una stima iniziale già abbastanza precisa, parlano anche le relazioni statunitensi dell’autunno 1944), non lo è affatto nella loro descrizione: «nemici», «banditi», «fiancheggiatori», secondo la terminologia standardizzata dei rapporti militari, risultano essere in stragrande maggioranza vecchi (142), donne (316), bambini (216), alcuni neonati o in tenerissima età.

Riportiamo quasi integralmente il testo del suddetto rapporto: «Basandosi su esplorazioni accurate condotte da settimane, unità della 16a divisione corazzata granatieri SS in concorso con reparti del 105° reggimento Flak e del 1059° battaglione volontari dell’Est, dopo due giorni di duri combattimenti nell’impervio sistema di fortificazioni appenninico, hanno circondato e annientato a Nord-est di Vergato la brigata partigiana comunista Stella rossa che si è difesa accanitamente. In particolare sono stati conseguiti i seguenti risultati: 718 nemici uccisi, di cui 497 banditi e 221 fiancheggiatori delle bande. Il comandante di brigata Lupo e almeno 15 comandanti di battaglione e compagnia caduti e identificati. 456 civili maschi catturati per essere inviati al servizio del lavoro. (…) 21 scontri a fuoco, alcuni dei quali molto violenti. La resistenza nemica in certi punti è stata infranta solo con l’impiego di armi pesanti. Nostre perdite: 7 morti, 29 feriti di cui 8 gravi. Poiché la brigata, secondo dichiarazioni concordi dei prigionieri, era forte di circa 900 uomini e non è stato possibile contare molti dei caduti, la brigata può essere considerata completamente annientata». Il documento tedesco condensa asetticamente il significato militare dell’operazione nell’ottica della potenza occupante; alla stregua di altri rapporti su operazioni consimili, falsifica il massacro di civili inermi nella cornice formale di un’azione antipartigiana di vasta portata, facendone scomparire il volto umano sotto la categoria convenzionale di «nemici» e «fiancheggiatori» che ne giustifica la soppressione; ma smentisce se stesso a una più attenta lettura con l’evidenza dei numeri, confrontando la sproporzione fra i caduti tedeschi e gli altri, il che rende implausibile la tesi dell’accanita difesa opposta dai partigiani della «brigata Stella rossa comunista», che, per inciso, proprio comunista non era, malgrado il simbolo adottato. Il bollettino militare ci introduce già nello scenario da apocalisse entro il quale avviene la strage: impiego di armi pesanti che dal basso colpiscono le alture nelle pause del rastrellamento, razzia di uomini e animali condotti a valle, incendi e distruzioni di casolari. Si tratta di un’azione pianificata da tempo, come annuncia l’esordio del testo («Basandosi su esplorazioni accurate….») che vale a conferma di fuga di notizie circolate in zona nell’imminenza del rastrellamento e offre agli storici l’occasione d’interrogarsi sul perché sia stato così devastante l’effetto sorpresa nel piovoso mattino del 29 settembre. Infine, il medesimo documento serve a identificare subito gli artefici principali dell’eccidio, mettendo al primo posto l’unità della 16a divisione corazzata granatieri SS, con l’appoggio di altre formazioni: in effetti, nei processi del dopoguerra emergerà in modo provato il ruolo primario di questa divisione in numerose delle stragi più efferate.6 Il modus operandi adottato a Monte Sole replica quello di azioni precedenti e dimostra – pur se materialmente non tutte le vittime siano ascrivibili agli uomini di Reder – il carattere criminale che contraddistingue questa e altre unità cosiddette di élite, come la «Hermann Göring».

…. Le ricostruzioni più recenti dei fatti di Monte Sole propendono per una lettura «intenzionalista» dell’azione, pianificata dall’alto e tesa alla distruzione deliberata e al tendenziale svuotamento dell’area da ogni presenza vivente: del resto, come sopra accennato, il modus operandi della 16a divisione (e di altri «corpi scelti») replica qui su più vasta scala il tragico copione di altri massacri, in particolare quello di Vinca. Ciò non toglie che, in qualche caso, siano stati raccolti anche prigionieri, adibiti a compiti particolari, come il babbo di don Ubaldo Marchioni, Augusto, che viene costretto a condurre il bestiame razziato dai tedeschi verso la valle, e qui rilasciato; o che, mentre è in corso sull’altopiano la grande carneficina, ai confini esterni dell’area, in entrambe le valli, si effettuino in parallelo rastrellamenti di soli uomini: in parte poi selezionati per il lavoro coatto, in parte poi rilasciati, in parte poi eliminati, come accade a Pioppe. Si potrebbe anche aggiungere che l’impronta eliminazionista dell’azione tedesca a Monte Sole non esclude variabili soggettive o singole reazioni di rigetto: il giovane mitragliere alsaziano appena aggregato alla 16a che pochi giorni dopo la strage diserta, rilasciando agli Alleati una testimonianza di prima mano sulle azioni della 1ª compagnia di Reder; il soldato senza nome che fa segno a Malvina Stefanelli di scappare; l’anomalo spaccato di Villa Serana, dove un consistente numero di civili, almeno una sessantina, sono risparmiati grazie alla mediazione di una donna che parla bene la lingua tedesca e convince il comandante della 5ª compagnia che lì non ci sono armi né partigiani, e alcuni altri casi dai più incerti contorni, dove singoli civili sono lasciati liberi o perfino soccorsi. Ma la componente soggettiva emerge anche come aggravante: tralasciando i racconti più truculenti, non sempre comprovati, basti ricordare l’agonia delle vittime dell’oratorio di Cerpiano, intenzionalmente prolungata dai carnefici fino al pomeriggio del 30 settembre, oltre ventiquattro ore dopo il loro arrivo: fra costoro spicca per il particolare sadismo, anche sulla base di testimonianze tedesche, il caporale Mayer. Nel gruppo di circa cinquanta persone rinchiuse nell’oratorio dell’Angelo custode, due soli uomini, uno paralitico, l’altro, un vecchio contadino. Venti, i bambini, il resto sono donne. Al primo lancio di bombe una ventina sopravvive: feriti, sconvolti, assetati, fra i corpi maciullati dei congiunti, degli amichetti, dei vicini, attendono per ore una morte annunciata, mentre nell’attiguo Palazzo i tedeschi fanno festa con le provviste e qualcuno suona l’harmonium della scuola che si ode a distanza, e le sentinelle vigilano che nessuno esca. Questa «grande operazione militare», come la definiscono le fonti tedesche, viene decisa dal comando della 15a armata, pianificata su richiesta del 1o corpo paracadutisti, al quale è in tale periodo subordinata la 16a divisione «Reichsführer-SS», e materialmente attuata sotto la direzione di quest’ultima

Da Alessandra Deoriti “Chiesa e resistenza: il caso Monte Sole”, in Annale 2011, Il Regno, pp. 85-88 e 121-123

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